Fallo D’Artista:
Fai qualcosa nella vita ma FALLO veramente
3/5 aprile 2010
Il gioco spezza la paura (?)
Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. E così fu.
Siamo nell’ormai quasi lontano 2004, quando Loredana Bucchi, presidente dell’Associazione Contemporanea, stanca di come andavano le cose nella sua vita personale e nella società, crea un gioco tutto particolare: per rompere gli schemi, per movimentare la vita a cui l’immobilismo non fa mai bene. E idea quello che chiama “Il gioco del fallo”. Si tratta di una produzione di falli di cartapesta colorati, si va dal giallo oro, al viola, all’argento, al nero, con tutte le sfumature dei mezzi toni. Inizia la produzione e poi comincia a regalarli e a venderli. Il messaggio è “Fai qualcosa nella vita, ma FALLO veramente”.
Ovviamente le reazioni delle persone a cui viene regalato l’oggetto, diciamo un po’ inconsueto per i nostri giorni, sono le più diverse, alcuni sono scandalizzati, altri divertiti. E grazie a questo gioco, che le fa riprendere la propria produzione artistica, spezza l’isolamento e dà un nuovo avvio all’Associazione da lei fondata cinque anni prima, e comincia a capire un po’ di più le persone. Ci sono quelle a cui si può regalare un fallo: da mettere sopra una scrivania o una libreria o in cucina e quelle che invece si scandalizzano e lo nascondono con la speranza di non ritrovarlo mai più. La prima categoria è quella, secondo lei, di cui ci si può fidare: dopo un primo momento di sorpresa, l’atmosfera si rilassa e si passa al divertimento. Queste sono le persone ironiche, che non prendono tutto sul serio, che si prendono in giro e sanno “stare al gioco”, quelle con cui si può partire per un viaggio che dura tutta la vita. Dalla seconda “categoria”, quelle persone che magari con la scusa dei figli piccoli preferiscono far sparire l’oggetto, è meglio stare alla larga. Non ci si può giocare e quindi neanche divertire. La distinzione alla fine non è poi così netta, ma di sicuro un fondo di verità c’è. Si tratta di un modo per dividere le persone in due categorie? Per riconoscerle al di là di ogni possibile dubbio? Forse un po’ è anche questo. Ma sotto l’idea di Loredana c’è qualcos’altro. La voglia di mettersi in gioco, di sorridere alla vita e di prendersi un po’ in giro tutti quanti. Di lanciare un messaggio che rompe gli schemi della buona società. O forse dovremmo dire del mondo dell’arte?
Ed è con queste premesse che si arriva al gennaio 2010, quando si ripresentano più o meno simili le circostanze del 2004. Serve anche stavolta un taglio, un guizzo di energia in più, una rottura forte che consenta di andare avanti in maniera migliore. Ed ecco allora rispolverare l’antica idea del gioco del fallo. Stavolta l’idea prende una forma più precisa e attiva partendo da due considerazioni: da un lato quella che ormai molte delle azioni che compiamo ogni giorno le facciamo automaticamente, quasi senza accorgercene, senza dare loro l’importanza che invece meriterebbero, quando invece ogni azione, anche la più banale, dovrebbe avere un senso e bisognerebbe farla al cento per cento. L’altra è il doppio significato del termine: fallo, in quanto organo sessuale maschile, e fallo in quanto seconda persona singolare dell’imperativo presente del verbo fare.
Da qui il passo è breve: si chiamano a raccolta gli amici artisti, che diffondono ad altri amici la notizia di una mostra un po’ strana… Ed è un passaparola che dura due mesi, incredibile. C’è proprio voglia di fare, di rompere l’apatia, di non accettare più supinamente la vita di tutti i giorni e di cercare di cambiarla almeno un po’.
E così numerosi artisti, tanti quanti non ci si aspettava proprio, si mettono al lavoro. E lo fanno seriamente. Le opere presentate sono opere d’arte, pensate e realizzate “con serietà”, non seriosamente, ma “seriamente”. Come ogni cosa della nostra vita quotidiana affinché abbia un senso deve essere fatta seriamente, dalle pulizie di casa, al lavoro in ufficio, all’attenzione per le persone che ci sono vicine, alla cura di noi stessi. Non si accettano improvvisazioni o scherzi. Si parla di un gioco vero, non di uno scherzo. La vita può essere vissuta come un gioco, ma mai come uno scherzo, sarebbe una mancanza di rispetto per la propria dignità di essere umano.
Forse il fatto che sorprende di più chi non vive quotidianamente il mondo dell’arte è la serietà con cui gli artisti partecipano a questa mostra. Sono seri nella realizzazione delle opere e nella loro presentazione, nessuno arriva in ritardo alla scadenza del bando, nessuno chiede favori, lasciano la loro opera, si fidano dell’Associazione Contemporanea e del loro lavoro. Lasciano il messaggio e ripartono, vanno per la loro strada, già diretti verso altre opere che consentiranno loro di tradurre in arte il proprio pensiero e il proprio sé. Siamo stati fortunati noi di Contemporanea che abbiamo incontrato questo tipo di artista “serio”? Che non ha niente a che fare con il genio e sregolatezza di qualche tempo fa? O forse è il tempo e le persone che sono cambiati? Che hanno voglia di impegnarsi “seriamente”nel loro lavoro qualunque esso sia? Che si tratti di un primo passo verso il cambiamento della nostra società? In cui ciascuno cerca di fare del proprio meglio nel suo lavoro, in famiglia, nella città in cui vive? Per vivere meglio per se stesso e per gli altri? Ma gli artisti non sono quelli che anticipano i tempi? Coloro che con la sensibilità che gli è propria “sentono” il cambiamento prima degli altri? Se la risposta a queste domande è affermativa la nostra mostra sul gioco del Fallo è qualcosa di più di una semplice esposizione d’arte. È un punto di partenza per andare in un’altra direzione, per un’altra società in cui gli esseri umani giocano sì, ma non scherzano. Fanno sul serio qualsiasi cosa fanno.
Elena Di Cicco Pucci